Pagine

domenica 16 marzo 2008

Il "Caso" Moro ... giusto trent'anni fa, come oggi.














Roma, 16 marzo 1978, Via Mario Fani, corsia di destra, all'incrocio con Via Stresa; si vedono, da sinistra a destra, la Fiat 128 di colore bianco usata dagli aggressori in retromarcia, dal punto di Stop dove era in attesa, per investire la Fiat 130 di colore bleu, guidata da uno degli uomini della scorta e su cui si trovavano il suo collega e l'on. Moro. L'auto su cui viaggiava il presidente della D.C., a seguito del violento impatto ricevuto dall'improvvisa manovra della Fiat 128, dopo avere a sua volta urtato la Alfa Romeo Alfetta, di colore bianco, sulla quale viaggiavano gli altri tre uomini della scorta, rimase definitivamente incastrata per contrasto tra le due autovetture, con il suo asse di marcia significativamente spostato in senso obliquo rispetto all'asse stradale di demarcazione delle due corsie di marcia. Dalle foto si nota chiaramente che tutte le auto coinvolte si trovano più o meno al centro della strada, quasi a cavallo della linea di mezzeria stradale. Prima ancora che gli occupanti delle due autovetture aggredite potessero rendersi conto di cosa stesse accadendo, partiva il fuoco incrociato delle armi degli aggressori, che, travestiti con divise azzurre della aereonautica militare ed appostati sui due lati di Via Fani, iniziavano a sparare con direzione di fuoco bilaterale, che investiva le vittime da destra e da sinistra, senza scampo.
Unico superistite dell'agguato l'On. Moro, che dopo l'azione di fuoco, veniva portato via dal luogo, a bordo di una autovettura Fiat 132; morti, quasi simultaneamente, tutti e cinque gli agenti ed i sottoufficiali che componevano la sua scorta, tra cui il conducente dell'auto presidenziale.
Questa, in sintesi, la prima fase dell'azione degli aggressori, in direzione del loro piano di attacco.

Queste, in chiaro, le prime, giustificatissime ed irreplicate domande che si porrebbe e si pone chiunque osservi attentamente ciò che si evince dalle quattro foto della scena dell'agguato, così come sono state scattate nell'immediatezza o quasi del verificarsi della strage di Via Fani ed, in ogni caso, quando le auto erano ancora tutte tre in quel luogo, prima che ne fosse sgomberato: chi e perchè ha cambiato la posizione della Fiat 130 bleu, rispetto a come si trovava al momento della aggressione e dell'azione di fuoco preordinata quel giorno dalle Brigate Rosse, secondo la versione ufficiale dei fatti?

Dalle prime tre foto, infatti, si vede chiaramente che - ferma la raffigurazione della Fiat 128 bianca, che si vede davanti alla Fiat 130 bleu, e dell'Alfa Romeo Alfetta, che si vede dietro l'auto su cui prendeva posto il Presidente Moro, che conservano una posizione pressocchè immutata rispetto all'asse stradale di Via Fani - quest'ultima ossia la Fiat 130 bleu, nelle prime tre foto, ha la sua parte anteriore chiaramente rivolta verso il lato destro di Via Fani, mentre, nella quarta foto, la sua stessa parte anteriore è inconfutabilmente in direzione del lato sinistro di Via Fani.


Questi gli altri dubbi che sorgono in capo ad un attento osservatore di quella prima fase d'azione, e che, pare, nessuno ha mai spiegato fino ad oggi, neppure i tanti processi celebratisi sulla vicenda Moro:

1-- La precisione dell'azione di fuoco e la sincronizzazione dei soggetti agenti che, secondo la versione ufficiale dei fatti, vi sarebbero stati coinvolti in via esclusiva o, quantomeno, prevalente, denota una preparazione militare ed una dimestichezza con le tecniche di guerriglia che mai - né
prima, né dopo la vicenda Moro - i terroristi delle Brigate Rosse avevano denotato di avere, ben piuttosto essendo state tutte le loro azioni criminali, precedenti e successive, solo delle azioni portate a compimento da uno o due elementi - dei quali uno dei due da supporto o da spalla - ed eseguite tutte in condizioni di massimo isolamento della vittima designata, con pochissimi rischi
per gli aggressori e compiute sempre in condizioni favorevoli per loro ed in assenza di testimoni.
Lo specifico profilo criminale che si può agevolmente trarre da ogni delitto del genere commesso dagli uomini delle B.R. - esclusa la strage di Via Fani - è quello di una serie di criminali politici che hanno sempre colpito le varie vittime designate a tradimento ed in condizioni di sicurezza; tanto è vero che furono unanimemente definiti come coloro che colpivano o "alle spalle" od "al buio".
Anche nel successivo omicidio dell'On. Moro, avvenuto dopo 55 giorni dalla strage di Via Fani, hanno confermato il loro macabro e miserabile rituale di morte: sono scesi con la vittima nel garage dello stabile in cui era stata allocata la prigione; hanno chiesto alla vittima di accovacciarsi nell'angusto vano bagagli della Renault 4 rossa e di starsene buona e tranquilla fino al momento in cui l'avrebbero portata dove poi l'avrebbero fatta ritrovare, magari rassicurandola che era stata decisa la sua liberazione; le avevano ricoperto il corpo con l'altra metà della coperta riposta in quel vano bagagli e, prima di richiudere la portiera, l'avevano uccisa con una sventagliata di colpi di mitraglietta, anche in questo caso, con la vittima completamente "al buio" per la coperta.
Le rivendicazioni dei vari attentati e, purtroppo, dei tanti omicidi commessi rappresentano la conferma anche implicita di ciò che qui si sostiene ossia che il terrosismo nostrano, prima compie le sue azioni criminali in assoluta sicurezza e solo a distanza di tempo manda a pubblicizzare le sue rivendicazioni di quelle azioni, cioè quando è sicuro che non se ne possano trovare le "prove".
Questa "costante" criminale degli uomini delle B.R. non è assolutamente conciliabile con l'azione di fuoco avvenuta in Via Fani, dalla cui analisi scientifica emerge una precisione ed una "bravura" nel portare a segno l'azione di morte che non si addicono a chi colpisce "alle spalle" od "al buio": pur essendo stati sparati circa cento colpi di arma da fuoco, nel giro di pochi secondi, infatti, dalla ubicazione dei fori di entrata dei proiettili sulle varie superfici esterne laterali, destre e sinistre, delle due autovetture prese di mira dagli aggressori, si evince l'assoluta precisione dei vari "tiri". Ulteriore riprova delle precisioni di mira è lecito e logico dedurla dall'esito finale dell'azione posta in essere dagli aggressori: la morte di tutta la scorta e l'incolumità totale del Presidente Moro ...

2-- Le armi usate in occasione dell'agguato di Via Fani non sono state mai trovate - salvo errori di memoria da parte di chi scrive - in alcuno dei vari covi scoperti e, dunque, mai nessun perito balistico ha potuto appurare quali siano state le effettive armi utilizzate dagli aggressori, per portare a compimento l'azione di fuoco, che, si dice, le BR abbiano compiuto in quell'occasione.

3-- I vari processi penali celebrati sul "caso" Moro non hanno mai appurato chi, quanti e quali dei terroristi che hanno rivendicato la paternità della strage di Via Fani siano stati presenti alla od autori della stessa; nè questo è mai emerso, neppure a seguito delle rivelazioni o delle rivendicazioni che di quella azione di fuoco sono state fatte in seguito dai vari terroristi che, poi, sono stati condannati per essa.
In altri termini, i terroristi coinvolti hanno riferito dov'era il covo; dove è stato tenuto prigioniero l'On. Moro per i 55 giorni della sua prigionia; chi lo ha ucciso; chi lo ha portato in Via Caetani; chi guidava la Renault rossa; chi accompagnava quell'autista; quale è stato il tragitto seguito dal covo a Via Caetani, ecc., ma nessuno ha mai detto - al di là delle dichiarazioni centellinate di Valerio Morucci - in alcuno dei processi che ci sono stati, chi di loro era in Via Fani la mattina del 16 marzo 1978 ... e, men che ogni altro, nulla ha mai riferito quel tal Mario Moretti, che, come si è visto e come qui si cercherà di appurare meglio, pare che sia stato l'unico "Brigatista Rosso" ad avere ricoperto un doppio ruolo, giocando su due fronti, uno segreto e uno ufficiale; ... perchè? ...

4-- Il lettore vedrà - riosservando la foto posta qui sopra - che, lungo il lato destro di Via Fani ed a destra delle tre auto che occupano la parte centrale della foto, in prossimità della intersezione con la Via Stresa - di cui si vedono le strisce pedonali, in fondo ed in alto nella foto - che vi è raffigurata un'auto bianca ed un folto gruppo di persone, evidentemente intervenute sul posto, nell'immediatezza del fatto, per i soccorsi o per semplice curiosità, e che persone e cose vengono raffigurate nella foto come poste al di là del margine della carreggiata di destra di Via Mario Fani, dove c'è un ampio spazio per sostare, senza dare alcun intralcio alla circolazione stradale.
Su quello stesso spazio esistente fuori del piano stradale di Via Fani, ogni mattina ed ogni giorno trovava allocazione il pulmino Fiat 850 di proprietà del Signor X. Y. da Roma, di professione fioraio ambulante, che ivi si recava a svolgere la propria attività di vendita al dettaglio di fiori.
La mattina del 16 marzo 1978 quel pulmino e quel Signor X. Y., fioraio ambulante da Roma, non avevano potuto trovarsi in quello spiazzo adiacente a Via Fani, perchè "qualcuno" - e non si è mai saputo chi - nella notte tra il 15 ed il 16 marzo 1978, si era preso la briga di recarsi fin sotto la casa del Signor X. Y. - che si trova da tutt'altra parte della città di Roma - a tagliare col coltello i pneumatici del pulmino Fiat 850 del Signor X. Y., parcato sotto casa, come di consuetudine, per evitare che questi si recasse a fare il suo ordinario lavoro di fioraio ambulante in quello spiazzo anche la mattina del 16 marzo 1978, come faceva tutti i giorni, di tutti i mesi, di ogni anno.

Ma come facevano a sapere per tempo ed, in ogni caso, almeno un giorno prima, i terroristi - se ed ove mai di terroristi si sia davvero trattato - che l'auto del Presidente Moro e quella degli uomini della sua scorta che la seguiva sarebbero passate dall'incrocio della Via Mario Fani con la Via Stresa, la mattina del 16 marzo 1978, per andare, dalla Via Tal dei Tali (dove si trova la casa di abitazione della famiglia Moro, nei pressi di Via Trionfale), prima, al Palazzo di Montecitorio, cioè alla Camera dei Deputati, dove quella mattina si doveva votare la fiducia al nuovo Governo Andreotti, cui partecipava anche il Partito Comunista Italiano, e, poi, all'Università La Sapienza, dove il Prof. Moro doveva partecipare alla discussione di alcune tesi di laurea dei suoi allievi?
E, se anche per pura ipotesi ed a tutto voler concedere, lo avessero saputo magari solo il giorno prima, questo dato sarebbe loro bastato per organizzare un'azione criminale di quella portata?

5-- La scorta era stata assegnata da molti anni prima della tragedia di Via Fani, tanto è vero che alcuni dei componenti della stessa erano con l'On. Moro, a proteggerlo, da circa venti anni o più.
Gli uomini della scorta erano tutti dipendenti della forza pubblica, ossia Carabinieri e Poliziotti, che, in quanto tali, dipendevano dai rispettivi comandi diretti e dalla Prefettura di Roma.
Allora, come ora, essi, in persona del comandante del gruppo di scorta, prendevano ordini e direttive dall'ufficio prefettizio competente, oltre che dai comandi militari designati alla cura del servizio di scorta ed erano tenuti a riferire i relativi programmi di percorso diuturni da seguire.
Al tempo della strage di Via Fani questa regola era ancor più rigida in considerazione del clima sociale del tempo, caratterizzantesi dalla presenza pericolosissima della minaccia terroristica.
Per evidenti ragioni di sicurezza della personalità da proteggere, spesso o quasi sempre, neppure
questa od i suoi più stretti congiunti conoscevano i percorsi delle uscite e dei rientri che si dovevano fare o seguire durante le giornate, dai luoghi di appartenenza del protetto (casa, ufficio, sedi di uffici pubblici, ecc.), ai luoghi in cui questi doveva recarsi per svolgere la propria funzione.
Allora, come ora, sarebbe stato molto facile che una semplice distrazione nel corso di un colloquio, anche telefonico, con una persona nota o conosciuta, avrebbe potuto costituire un grave pericolo.
Quindi, a conoscere quasi sempre il percorso che l'auto della personalità di Stato doveva seguire, accompagnata dall'auto che portava gli uomini che componevano la sua scorta, erano solamente due entità: a) gli uomini della scorta; b) l'ufficio con cui quegli uomini dovevano rapportarsi.
Se qualcuno avesse voluto fare o abbia fatto "la soffiata" sul tragitto che si sarebbe seguito quella mattina del 16 marzo 1978, c'erano i tempi tecnici per organizzare un agguato di quella natura?
Per chi conosce adeguatamente la Citta di Roma, poi, vi è da dire che, per andare dalle parti di Via del Trionfale al centro storico di Roma, ci sono varie possibilità di percorso cittadino e che, spesso, alle scorte, è lasciato un ampio margine di discrezionalità nelle decisioni di modifica del percorso da seguire, ove particolari condizioni od esigenze impreviste impongano una modifica.
Se anche qualcuno avesse fatto "la soffiata", potendo la scorta decidere in ogni momento di mutare il percorso da seguire, senza doverlo comunicare preventivamente a chi di competenza o farvisi autorizzare - e chi ha organizzato l'agguato non poteva non attendere tale eventualità - tenuto conto che le possibilità di andare al centro di Roma da Via Trionfale erano più di una, in quanti punti cruciali di agguato ci si doveva appostare e di quanti uomini si doveva disporre per essere quantomeno approssimativamente sicuri che l'agguato sarebbe andato comunque a segno
quale che fosse stato il percorso che avrebbero seguito le vittime, al di là di quello "comunicato" ? Infine, considerato che i componenti delle Brigate Rosse sono sempre stati quattro gatti, di certo
pericolosissimi criminali politici, ma pur sempre numericamente, solo e sempre quattro gatti, chi erano tutti gli altri uomini che sarebbero stati necessari per portare a termine l'azione criminosa, in ogni caso, quale che fosse stato il percorso effettivamente seguito dai convogli delle vittime?
Erano anch'essi tutti brigatisti - magari fortunatamente per loro mai scoperti dagli inquirenti - o, forse, erano altre persone, molto più pericolose e criminali di essi, mai indagate da nessuno?

6-- L'On. Moro aveva l'abitudine di portare con sè, ogni mattina, quando usciva di casa per recarsi dove i suoi vari impegni lo chiamavano, cinque borse del tipo cartella, all'interno delle quali si trovavano, rispettivamente: a) l'apparecchio per misurare la pressione; alcuni medicinali; le chiavi di casa e dell'ufficio; il denaro che la moglie gli preparava ogni mattina per le esigenze della giornata ed altri suoi effetti personali; b) alcuni documenti riservati; c), d) ed e) vari ritagli di giornale, le tesi di laurea, le loro bozze o le sue relazioni su di esse, dei suoi allievi all'università.
I documenti riservati di cui alla borsa indicata alla lett. b), evidentemente, erano così riservati che l'On. Moro aveva sempre cura di non lasciarli neppure a casa o nel proprio ufficio ...
Tutte e cinque le borse tipo cartella sono state prelevate, insieme alla persona dell'On. Moro, da parte di chi, dopo la strage, aveva il compito di portare il sequestrato in un "luogo sicuro".
Quelle borse non sono state mai ritrovate in nessuno dei vari covi delle B.R. poi scoperti, poichè, per esempio, nel covo di Milano, dopo 12 anni, sono state rinvenute alcune copie delle lettere autografe di Moro dalla prigionia, ma non si è mai ritrovata alcuna borsa o documento riservato.
Quei documenti riservati, con altrettanta evidenza e logica deduzione, involgevano questioni di tipo statuale e, se ed ove mai fossero stati prelevati dai Terroristi delle B.R. e finiti nelle loro mani, come si è voluto far credere, questi si sarebbero astenuti dal rivolgere al prigioniero Moro, nel corso dei vari e lunghi interrogatori, cui lo hano sottoposto nella cosiddetta "prigione del popolo", domande circa il funzionamento dello "stato capitalistico delle multinazionali", che, per la elementarità intrinseca della domanda, è un fatto che denota tutta la loro ignoranza specifica in materia, atteso che quei documenti, se posseduti, li avrebbero indotti a ben altre interlocuzioni.

E questa è la prima puntata di cui avevamo detto nel precedente e primo incontro sul caso.

Avvocato Salvatore Cirolla

domenica 27 gennaio 2008

Il "Caso" Moro.






La vicenda che ha riguardato l'On. Aldo Moro, nonostante i vari processi celebrati, ancora non è sufficientemente chiara, ma nasconde molte cose che quei processi non hanno saputo, voluto o potuto far emergere dal mistero che le avvolge e nel quale erano in tanti ad avere interesse a che rimanessero sconosciute per sempre.
A distanza di trent'anni da quella tragedia, non siamo in grado di conoscere tutta la verità, nella sua completezza ed effettività, al di là di ciò che i processi ci hanno dato di appurare.
Cercheremo di tratteggiare qui gli elementi più significativi di una vicenda ancora non definita.

Un celebre e grande investigatore (S.H.), che non è più tra noi, purtroppo, ci ha lasciato il suo testamento, spirituale e professionale, in una massima breve, ma smisurata, quanto a modalità
applicative ed implicative in tema di ricerca della verità attraverso le indagini intelligenti, che, per ogni altro aspetto, rappresenta la sintesi della sua personale ed impareggiabile esperienza, sussunta nelle poche parole che seguono e che suonano come un monito ideale:
" Non esistono i delitti perfetti, ma solamente gli investigatori distratti ".

In questo anno, nel quale ricorre il 30° anniversario da quella tragedia nazionale, cercheremo di ripercorrere le tappe salienti di tutto ciò che si è fatto e di quanto altro si poteva o si doveva fare ed invece non si è fatto, nonchè le ragioni, se ve ne sono, per cui c'è stata tanta inermità.
Cercheremo di capire se anche in questo caso ci sono stati degli "investigatori distratti" oppure se ci sono stati, piuttosto, degli investigatori omittenti, colposamente o dolosamente, sui loro doveri. Lo faremo, nei limiti in cui ciò ci è consentito dall'angustia dello spazio di un sito web quale può essere quello di un Blog, nella maniera più compiuta ed articolata che ci sarà possibile, anche se ci rendiamo conto che tutta la vicenda non potrà essere sussunta nello spazio di un solo post.
Per cui abbiamo pensato di farne una trattazione suddivisa e progressiva, seguendo il medesimo ordine evolutivo che hanno avuto i singoli eventi che hanno caratterizzato la vicenda, come se fosse una narrazione a puntate, ma che non sarà una semplice e vana ripetizione di cose o fatti già detti e ridetti dai giornali, dalla televisione, dalle pubblicazioni e dai vari libri dedicati al tema. La rivisitazione del Caso Moro, che cercheremo di fare qui, sarà nel senso di ripercorrerne tutte le fasi, ma in chiave perlustrativa e critica delle attività investigative svolte o mai effettuate ed in direzione del tentativo di vedere se e quali siano state le "ragioni" di eventuali lacune d'inchiesta.
A tal fine, chiunque avesse qualche materiale, documento o notizia non ufficiali, ma rilevanti per il nostro scopo, ci farà cosa sicuramente a noi gradita, ma, più di ciò, utile al Paese e alla verità, se ci metterà in condizione di averne una copia o di esserne in qualche modo partecipati.
Questa è la parte prelusiva della nostra iniziativa in direzione dell'auspicato trionfo della verità e, non da meno, della Giustizia, verso cui ci siamo mossi nella ferma convinzione che l'affare Moro,
nel suo complesso, non è soltanto la risultante dell'opera criminale del gruppo terroristico delle Brigate Rosse, ma il frutto di una regia politico-criminale collocantesi in ben altri ambiti.
A presto, speriamo, per la prima puntata...




... nel frattempo invitiamo il cuore e la mente di chi ci legge a riflettere su alcune delle parole del discorso fatto dall'On. Moro alla Camera, appena pochi giorni prima della mattina del 16.3.1978, e che, come tutte le cose buone, da cui non sappiamo mai trarre quella sana utilità che ci necessita, sono rimaste esse davvero lettera morta, tanto per i suoi contemporanei, quanto per coloro che sono venuti dopo di lui, quanto e, non da meno, per la gran parte dei sedicenti continuatori attuali delle sue idee politiche:

"" Senza un nuovo senso del dovere, questo Paese non si salverà; poichè occorre che alla stagione dei diritti consegua la stagione dei doveri.""

Avvocato Salvatore Cirolla.

sabato 5 gennaio 2008

Il Diritto di Difesa.

Presa di posizione dell'Avv. Cirolla in merito alla delicatissima materia del diritto di difesa...

venerdì 4 gennaio 2008

Il Parere dell'Avvocato Cascione...

Leggiamo cosa ne pensa l' Avvocato Cascione...

Mah!
Signori miei, il modico mio pensier è presto detto,
come maturatomi dalle conclusion che ne ho tratto.
Nei Palazzi in cui l'uomo tratta della sua Giustizia,
sempre più di rado si riscontra quella mestizia,
che dei Padri fu fierezza, conquista ed emblema,
da tramandar a figli accorti, come in lor spema.
Ma, al profettizio dei Padri, la filial ignavia segue spesso,
ed è questa la ragion perchè dei loro valor non ve n'è più adesso.
Tant'è che, forse, è meglio che la gente mai non scopra,
di quelle tante cose su cui certa giustizia passa sopra.