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giovedì 17 dicembre 2009

L'attentato di Milano a Silvio Berlusconi.





















Milano, 13 Dicembre 2009.

Introduzione - Il grave fatto accaduto a Milano, al termine di una manifestazione pubblica tenuta dal partito politico capeggiato dal Presidente del Consiglio dei Ministri in carica del nostro Paese, mi ha dato lo spunto per una riflessione circa le varie possibilità estrinsecative delle condotte criminali in uso anche nel nostro tempo ed in ordine alle varie superficialità informative dei moderni mezzi di comunicazione, che ci notiziano quasi sempre su tutto, con un'apprezzabile tempestività, ma che non vanno mai al di là di ciò che apparentemente sembra che sia.

Al tempo stesso, quel fatto mi ha denotato le gravi lacune e le enormi carenze dei sistemi di sicurezza approntati ed ai loro deludenti risultati, nonostante i notevoli impieghi e dispendi di uomini, mezzi e risorse, che, al di là di ciò che ha amato (e si è precipitato a) dire il Ministro degli Interni, sono solo ciò che tutti abbiamo visto e non ciò che lui ha voluto farci credere che siano.
La mia riflessione è improntata esclusivamente a valutazioni di carattere pratico e scientifico e prescinde da ogni considerazione di carattere politico, poichè, politicamente, non mi colloco né tra i sostenitori di Berlusconi o del suo partito, né tra i suoi avversari, né, tanto meno, tra i suoi tanti nemici, siano essi politici o personali.

Quello stesso fatto, che, personalmente, mi ha non poco indignato, come uomo e come italiano, che ha sempre rispettato tutti ed ognuno, anche le tante pietre calpestate nel proprio cammino, mi ha suggerito inoltre l'idea di creare una nuova Sezione su questo modestissimo Blog, dedicata appunto ad ogni fatto similare e denominata sintonicamente Crimini Contemporanei, per mezzo della quale si tenterà di apportare un modico e speriamo anche utile contributo ad una più giusta e reale visione di certi fatti di criminalità del nostro tempo, visti ed inquadrati sempre in una chiave obiettiva e scientifica e non mai di parte o, peggio ancora, strumentale o superficiale.


Il fatto -


Lo Psico-labile -

Il soggetto attivo del reato commesso ai danni del Presidente del Consiglio dei Ministri è una persona psico-labile, a dire delle notizie dateci dai nostri mezzi di comunicazione, e questo, dai modi e dai toni usati, vorrebbe implicare che sarebbe, per ciò solo, un soggetto non imputabile o, magari, soltanto parzialmente o relativamente imputabile per il reato dallo stesso commesso.
Se così davvero è, dovremmo cercare di capirne un pò di più circa il significato della espressione psico-labile ed in ordine a quale delle categorie della scienza medica la si può collocare.

Prima di rispondere a tale quesito, vediamo cosa si intende con essa nella nostra madre lingua e cosa con quella definizione ne intendono i medici nell'ambito delle loro categorizzazioni.

Dal Wikizionario, il dizionario a contenuto aperto, si evince quanto segue:
Italiano, Aggettivo, psicolabile (pl: psicolabili), (psicologia) (psichiatria): persona che presenta """" instabilità psicologica """".
Sostantivo, psicolabile m e f (pl: psicolabili), (psicologia) (psichiatria) persona """" psicologicamente instabile """".

Sillabazione, psi co là bi le.
Pronuncia, IPA: /psiko'labile/
Etimologia / Derivazione, composizione di psico- + labile
Sinonimi, aggettivo, nevrotico, ipersensibile, impressionabile, emotivo,


instabile, labile, neurolabile.
Antonimi/Contrari, aggettivo calmo, equilibrato.
Note / Riferimenti
Paravia, De Mauro edizione on-line.
Treccani,
vocabolario edizione on-line.
Dall'etimologia e, non da meno, dall'uso corrente che di questa espressione si fa nella lingua italiana, è evidente che con essa ci si intende riferire a quei soggetti che sono affetti da patologie che involgono la loro sfera psichica e, dunque, non certo l'ambito cerebrale del loro organismo.

Come è noto, inoltre, queste particolari patologie - se di patologie veramente si tratti - rientrano nelle competenze della psicologia, che è quella scienza che si occupa di una mente sana; mentre, come è pure noto e contrariamente, la psichiatrica si occupa di una mente malata.

Ciò succintamente evidenziato, si tratta di passare a verificare se la psico-labilità, di cui sia o meno affetto l'autore del fatto criminoso posto in essere ai danni del Presidente Berlusconi, possa essere assimilabile od equiparabile alle varie patologie psichiatriche, nel senso che se anche essa, come queste ultime, sia idonea o meno a ritenere il soggetto che ne è affetto non imputabile o relativamente imputabile, poichè gravemente limitato nella o del tutto privo della sua capacità di autodeterminarsi (le cosiddette totale o parziale incapacità di intendere e di volere), o se, come sembra più verosimile, la sua psico-labilità costituisca sicuramente un disturbo di carattere psicologico, ma che non incide neppure minimamente sulla sua sfera volitiva e sulla sua capacità di intendere e di volere, lasciando comunque al soggetto la libertà di autodeterminazione.

Questo è un compito che è riservato alla scienza medica ed ai medici psicologi e psichiatri molto di buon grado e doverosamente giro il quesito che spetta alle loro competenze professionali.

La logica e la logica deduttiva, che bisogna sempre tenere presenti nel ragionamento che si fa per cercare di trarre delle conclusioni, in termini qualificazione del fatto e di responsabilità per quel determinato fatto, circa un'azione criminosa, però, sono di competenza di chi si occupa di affari penali, e chi fa questo lavoro sa bene - o dovrebbe saperlo - che è dall'azione di un determinato soggetto, considerata sia nel suo complesso, che in relazione ai singoli comportamenti, fatti od atti che la compongono, che si evincono la volontà e le finalità perseguite da quel soggetto agente.
La scienza e l'esperienza investigativa degli uomini, in rapporto ai vari fatti reato che ogni giorno vengono commessi, hanno a loro disposizione molteplici strumenti e tecniche di accertamento, ma, su tutti, siedono e presiedono sempre la logica, l'intelligenza e l'intuito negli accertamenti, che, da sempre, costituiscono le armi migliori contro chiunque delinque e vuole farla franca.
Tutte queste belle ed utili cose inducono a ritenere fondatamente che l'intera l'azione delittuosa posta in essere in Piazza Duomo a Milano, ai danni di Berlusconi, sia solo il frutto di un'accurata e meticolosa preparazione di ciò che poi sarebbe accaduto platealmente davanti a tutta l'Italia.
Ad essa si è accompagnata, inoltre, una convinzione - invero infondata ed affatto saggia - che il tutto si sarebbe risolto, agli occhi della gente, nella deplorevole azione di uno psico-labile che, proprio perchè tale ed in quanto tale - dove il tale si vorrebbe che stesse per psico-labile = ad un pazzo, in senso lato - non dovrebbe meritare lo stesso grado di riprovevolezza sociale che viene
riservato nella generalità dei casi di commissione delittuosa ai criminali di ordinaria fattura.

L'autore del reato - si è detto - è psico-labile ed in cura, per ciò, da circa dieci anni a Milano.

Ma si è anche detto che lavora da sempre nell'azienda di famiglia, con un ruolo di responsabilità, e che ha anche una spiccata propensione verso le invenzioni e le innovazioni, tant'è che pare che sia autore di vari brevetti.

Queste cose non sono per nulla conciliabili con una mente malata, nel senso che se ne è detto o che si vorrebbe che si ritenesse della mente di quel singolare autore della plateale aggressione.

Inoltre, la sua azione delittuosa ai danni di Berlusconi, per come portata a termine, denota che è stata non il frutto di un impulso o di un raptus improvvisi o, magari, di una provocazione, bensì e piuttosto di un'accurata e meticolosa preparazione, che, per il nostro diritto penale, significa od equivale ad una cosa soltanto; una cosa che si chiama """ premeditazione """".


Avvocato Salvatore Cirolla

giovedì 26 febbraio 2009

Il "Caso" Moro ... chi e quanti c'erano quel giorno in Via Fani?




Roma, 16 marzo 1978, Via Mario Fani all'incrocio con Via Stresa.
Uno degli aspetti che maggiormente colpisce chi si accinga a leggere le tante carte processuali è dato dal fatto che sembrerebbe, sia pure da una loro lettura sommaria, che a nessuno abbia mai interessato accertarsi seriamente delle identità e del numero effettivo delle persone presenti la mattina della strage di Via Fani in quel luogo, nel senso che nessuna verifica investigativa è stata fatta neppure in questa direzione, come in e per altri determinanti aspetti dell'intera vicenda.
Il Brigatista RossoValerio Morucci, in diverse occasioni, ha fatto i nomi di sette persone, uomini e donne, suoi compagni di lotta e di assassinio, indicandoli in: Mario Moretti, Raffaele Fiore, Bruno Seghetti, Franco Bonisoli, Prospero Gallinari, Barbara Balzerani e, ovviamente, in sè stesso.
In una intervista rilasciata per televisione molti anni dopo i fatti di via Fani, gli si è rischiarata la memoria e si è premurato di indicare altri due nomi, oltre quelli già riferiti nelle sue audizioni, ossia quelli di Alvaro Lojacono e di Alessio Casimirri.
Come si ricorderà, il primo, Alvaro Lojacono, era stato arrestato e processato in Svizzera, dove si era nel frattempo rifugiato; mentre il secondo, cioè Alessio Casimirri, non è stato mai catturato, ma, piuttosto, sembrerebbe che si sia rifugiato in Nicaragua, dove è stato visto, fotografato e persino intervistato.
Lì, cioè in Nicaragua, ha aperto un ristorante e vive tranquillo e, magari, anche in pace con sè stesso, con gli altri e con la propria coscienza, pur avendo analoghe, se non eguali responsabilità di quelle dei suoi compagni di assassinio, e senza avere mai scontato un solo giorno di prigione.
Il Morucci, infine, fa anche il nome di una decima persona, ossia quello di Rita Algranati, che, poi, dovrebbe essere la stessa persona che si identifica per la moglie di Alessio Casimirri, la quale, secondo il piano studiato e messo a punto dalle BR per compiere la strage della scorta ed il rapimento dell' On. Moro quella mattina del 16 marzo 1978, aveva il compito di fare da "civetta" ossia, a bordo ed alla guida di un motorino, doveva intercettare e segnalare per tempo al commando brigatista in agguato l'arrivo dell'auto su cui viaggiava l'On. le Moro e di quella che la seguiva e su cui viaggiavano alcuni degli uomini che componevano la sua scorta.
Anche la Rita Algranati è stata segnalata in Nicaragua e la cosa è di certo verosimile, atteso che, appunto, essendo la moglie di Alessio Casimirri, non poteva non ricongiungersi col proprio "compagno".
Il Morucci, a questo punto delle sue rivelazioni dilazionate, assicura ed arriva addirittura a giurare di avere detto veramente tutto ciò che sapeva sulle identità e sul numero delle persone che hanno preso parte alla strage di Via Fani ed al rapimento dell'On. le Aldo Moro.
Ma, come sempre accade nella vita a tutti quelli come lui, le sue rivelazioni postume e le sue verità, che dovrebbero denotare, nelle sue aspirazioni ad essere reputato dai suoi simili come un
uomo ravveduto, magari pentito e reso migliore dall'esperienza, che, per rendere più credibili, non esita a corroborare con un giuramento, che si rivela invero solo come uno spergiuro, cozzano con quella verità vera, che viene sempre fuori, in un modo o nell'altro, nelle vicende umane, al di là degli e nonostante gli ostacoli che le si frappongono, e non si conciliano per nulla con ciò che è emerso comunque, oltre i suoi racconti e le sue verità, che, se davvero tali, sono solo parziali.
Residuano, infatti, ai racconti del Morucci, almeno cinque misteri mai accertati da alcuno.
Ma di questi si tratterà nelle apposite sezioni ad essi dedicate e che seguiranno.
Avvocato Salvatore Cirolla

domenica 16 marzo 2008

Il "Caso" Moro ... giusto trent'anni fa, come oggi.














Roma, 16 marzo 1978, Via Mario Fani, corsia di destra, all'incrocio con Via Stresa; si vedono, da sinistra a destra, la Fiat 128 di colore bianco usata dagli aggressori in retromarcia, dal punto di Stop dove era in attesa, per investire la Fiat 130 di colore bleu, guidata da uno degli uomini della scorta e su cui si trovavano il suo collega e l'on. Moro. L'auto su cui viaggiava il presidente della D.C., a seguito del violento impatto ricevuto dall'improvvisa manovra della Fiat 128, dopo avere a sua volta urtato la Alfa Romeo Alfetta, di colore bianco, sulla quale viaggiavano gli altri tre uomini della scorta, rimase definitivamente incastrata per contrasto tra le due autovetture, con il suo asse di marcia significativamente spostato in senso obliquo rispetto all'asse stradale di demarcazione delle due corsie di marcia. Dalle foto si nota chiaramente che tutte le auto coinvolte si trovano più o meno al centro della strada, quasi a cavallo della linea di mezzeria stradale. Prima ancora che gli occupanti delle due autovetture aggredite potessero rendersi conto di cosa stesse accadendo, partiva il fuoco incrociato delle armi degli aggressori, che, travestiti con divise azzurre della aereonautica militare ed appostati sui due lati di Via Fani, iniziavano a sparare con direzione di fuoco bilaterale, che investiva le vittime da destra e da sinistra, senza scampo.
Unico superistite dell'agguato l'On. Moro, che dopo l'azione di fuoco, veniva portato via dal luogo, a bordo di una autovettura Fiat 132; morti, quasi simultaneamente, tutti e cinque gli agenti ed i sottoufficiali che componevano la sua scorta, tra cui il conducente dell'auto presidenziale.
Questa, in sintesi, la prima fase dell'azione degli aggressori, in direzione del loro piano di attacco.

Queste, in chiaro, le prime, giustificatissime ed irreplicate domande che si porrebbe e si pone chiunque osservi attentamente ciò che si evince dalle quattro foto della scena dell'agguato, così come sono state scattate nell'immediatezza o quasi del verificarsi della strage di Via Fani ed, in ogni caso, quando le auto erano ancora tutte tre in quel luogo, prima che ne fosse sgomberato: chi e perchè ha cambiato la posizione della Fiat 130 bleu, rispetto a come si trovava al momento della aggressione e dell'azione di fuoco preordinata quel giorno dalle Brigate Rosse, secondo la versione ufficiale dei fatti?

Dalle prime tre foto, infatti, si vede chiaramente che - ferma la raffigurazione della Fiat 128 bianca, che si vede davanti alla Fiat 130 bleu, e dell'Alfa Romeo Alfetta, che si vede dietro l'auto su cui prendeva posto il Presidente Moro, che conservano una posizione pressocchè immutata rispetto all'asse stradale di Via Fani - quest'ultima ossia la Fiat 130 bleu, nelle prime tre foto, ha la sua parte anteriore chiaramente rivolta verso il lato destro di Via Fani, mentre, nella quarta foto, la sua stessa parte anteriore è inconfutabilmente in direzione del lato sinistro di Via Fani.


Questi gli altri dubbi che sorgono in capo ad un attento osservatore di quella prima fase d'azione, e che, pare, nessuno ha mai spiegato fino ad oggi, neppure i tanti processi celebratisi sulla vicenda Moro:

1-- La precisione dell'azione di fuoco e la sincronizzazione dei soggetti agenti che, secondo la versione ufficiale dei fatti, vi sarebbero stati coinvolti in via esclusiva o, quantomeno, prevalente, denota una preparazione militare ed una dimestichezza con le tecniche di guerriglia che mai - né
prima, né dopo la vicenda Moro - i terroristi delle Brigate Rosse avevano denotato di avere, ben piuttosto essendo state tutte le loro azioni criminali, precedenti e successive, solo delle azioni portate a compimento da uno o due elementi - dei quali uno dei due da supporto o da spalla - ed eseguite tutte in condizioni di massimo isolamento della vittima designata, con pochissimi rischi
per gli aggressori e compiute sempre in condizioni favorevoli per loro ed in assenza di testimoni.
Lo specifico profilo criminale che si può agevolmente trarre da ogni delitto del genere commesso dagli uomini delle B.R. - esclusa la strage di Via Fani - è quello di una serie di criminali politici che hanno sempre colpito le varie vittime designate a tradimento ed in condizioni di sicurezza; tanto è vero che furono unanimemente definiti come coloro che colpivano o "alle spalle" od "al buio".
Anche nel successivo omicidio dell'On. Moro, avvenuto dopo 55 giorni dalla strage di Via Fani, hanno confermato il loro macabro e miserabile rituale di morte: sono scesi con la vittima nel garage dello stabile in cui era stata allocata la prigione; hanno chiesto alla vittima di accovacciarsi nell'angusto vano bagagli della Renault 4 rossa e di starsene buona e tranquilla fino al momento in cui l'avrebbero portata dove poi l'avrebbero fatta ritrovare, magari rassicurandola che era stata decisa la sua liberazione; le avevano ricoperto il corpo con l'altra metà della coperta riposta in quel vano bagagli e, prima di richiudere la portiera, l'avevano uccisa con una sventagliata di colpi di mitraglietta, anche in questo caso, con la vittima completamente "al buio" per la coperta.
Le rivendicazioni dei vari attentati e, purtroppo, dei tanti omicidi commessi rappresentano la conferma anche implicita di ciò che qui si sostiene ossia che il terrosismo nostrano, prima compie le sue azioni criminali in assoluta sicurezza e solo a distanza di tempo manda a pubblicizzare le sue rivendicazioni di quelle azioni, cioè quando è sicuro che non se ne possano trovare le "prove".
Questa "costante" criminale degli uomini delle B.R. non è assolutamente conciliabile con l'azione di fuoco avvenuta in Via Fani, dalla cui analisi scientifica emerge una precisione ed una "bravura" nel portare a segno l'azione di morte che non si addicono a chi colpisce "alle spalle" od "al buio": pur essendo stati sparati circa cento colpi di arma da fuoco, nel giro di pochi secondi, infatti, dalla ubicazione dei fori di entrata dei proiettili sulle varie superfici esterne laterali, destre e sinistre, delle due autovetture prese di mira dagli aggressori, si evince l'assoluta precisione dei vari "tiri". Ulteriore riprova delle precisioni di mira è lecito e logico dedurla dall'esito finale dell'azione posta in essere dagli aggressori: la morte di tutta la scorta e l'incolumità totale del Presidente Moro ...

2-- Le armi usate in occasione dell'agguato di Via Fani non sono state mai trovate - salvo errori di memoria da parte di chi scrive - in alcuno dei vari covi scoperti e, dunque, mai nessun perito balistico ha potuto appurare quali siano state le effettive armi utilizzate dagli aggressori, per portare a compimento l'azione di fuoco, che, si dice, le BR abbiano compiuto in quell'occasione.

3-- I vari processi penali celebrati sul "caso" Moro non hanno mai appurato chi, quanti e quali dei terroristi che hanno rivendicato la paternità della strage di Via Fani siano stati presenti alla od autori della stessa; nè questo è mai emerso, neppure a seguito delle rivelazioni o delle rivendicazioni che di quella azione di fuoco sono state fatte in seguito dai vari terroristi che, poi, sono stati condannati per essa.
In altri termini, i terroristi coinvolti hanno riferito dov'era il covo; dove è stato tenuto prigioniero l'On. Moro per i 55 giorni della sua prigionia; chi lo ha ucciso; chi lo ha portato in Via Caetani; chi guidava la Renault rossa; chi accompagnava quell'autista; quale è stato il tragitto seguito dal covo a Via Caetani, ecc., ma nessuno ha mai detto - al di là delle dichiarazioni centellinate di Valerio Morucci - in alcuno dei processi che ci sono stati, chi di loro era in Via Fani la mattina del 16 marzo 1978 ... e, men che ogni altro, nulla ha mai riferito quel tal Mario Moretti, che, come si è visto e come qui si cercherà di appurare meglio, pare che sia stato l'unico "Brigatista Rosso" ad avere ricoperto un doppio ruolo, giocando su due fronti, uno segreto e uno ufficiale; ... perchè? ...

4-- Il lettore vedrà - riosservando la foto posta qui sopra - che, lungo il lato destro di Via Fani ed a destra delle tre auto che occupano la parte centrale della foto, in prossimità della intersezione con la Via Stresa - di cui si vedono le strisce pedonali, in fondo ed in alto nella foto - che vi è raffigurata un'auto bianca ed un folto gruppo di persone, evidentemente intervenute sul posto, nell'immediatezza del fatto, per i soccorsi o per semplice curiosità, e che persone e cose vengono raffigurate nella foto come poste al di là del margine della carreggiata di destra di Via Mario Fani, dove c'è un ampio spazio per sostare, senza dare alcun intralcio alla circolazione stradale.
Su quello stesso spazio esistente fuori del piano stradale di Via Fani, ogni mattina ed ogni giorno trovava allocazione il pulmino Fiat 850 di proprietà del Signor X. Y. da Roma, di professione fioraio ambulante, che ivi si recava a svolgere la propria attività di vendita al dettaglio di fiori.
La mattina del 16 marzo 1978 quel pulmino e quel Signor X. Y., fioraio ambulante da Roma, non avevano potuto trovarsi in quello spiazzo adiacente a Via Fani, perchè "qualcuno" - e non si è mai saputo chi - nella notte tra il 15 ed il 16 marzo 1978, si era preso la briga di recarsi fin sotto la casa del Signor X. Y. - che si trova da tutt'altra parte della città di Roma - a tagliare col coltello i pneumatici del pulmino Fiat 850 del Signor X. Y., parcato sotto casa, come di consuetudine, per evitare che questi si recasse a fare il suo ordinario lavoro di fioraio ambulante in quello spiazzo anche la mattina del 16 marzo 1978, come faceva tutti i giorni, di tutti i mesi, di ogni anno.

Ma come facevano a sapere per tempo ed, in ogni caso, almeno un giorno prima, i terroristi - se ed ove mai di terroristi si sia davvero trattato - che l'auto del Presidente Moro e quella degli uomini della sua scorta che la seguiva sarebbero passate dall'incrocio della Via Mario Fani con la Via Stresa, la mattina del 16 marzo 1978, per andare, dalla Via Tal dei Tali (dove si trova la casa di abitazione della famiglia Moro, nei pressi di Via Trionfale), prima, al Palazzo di Montecitorio, cioè alla Camera dei Deputati, dove quella mattina si doveva votare la fiducia al nuovo Governo Andreotti, cui partecipava anche il Partito Comunista Italiano, e, poi, all'Università La Sapienza, dove il Prof. Moro doveva partecipare alla discussione di alcune tesi di laurea dei suoi allievi?
E, se anche per pura ipotesi ed a tutto voler concedere, lo avessero saputo magari solo il giorno prima, questo dato sarebbe loro bastato per organizzare un'azione criminale di quella portata?

5-- La scorta era stata assegnata da molti anni prima della tragedia di Via Fani, tanto è vero che alcuni dei componenti della stessa erano con l'On. Moro, a proteggerlo, da circa venti anni o più.
Gli uomini della scorta erano tutti dipendenti della forza pubblica, ossia Carabinieri e Poliziotti, che, in quanto tali, dipendevano dai rispettivi comandi diretti e dalla Prefettura di Roma.
Allora, come ora, essi, in persona del comandante del gruppo di scorta, prendevano ordini e direttive dall'ufficio prefettizio competente, oltre che dai comandi militari designati alla cura del servizio di scorta ed erano tenuti a riferire i relativi programmi di percorso diuturni da seguire.
Al tempo della strage di Via Fani questa regola era ancor più rigida in considerazione del clima sociale del tempo, caratterizzantesi dalla presenza pericolosissima della minaccia terroristica.
Per evidenti ragioni di sicurezza della personalità da proteggere, spesso o quasi sempre, neppure
questa od i suoi più stretti congiunti conoscevano i percorsi delle uscite e dei rientri che si dovevano fare o seguire durante le giornate, dai luoghi di appartenenza del protetto (casa, ufficio, sedi di uffici pubblici, ecc.), ai luoghi in cui questi doveva recarsi per svolgere la propria funzione.
Allora, come ora, sarebbe stato molto facile che una semplice distrazione nel corso di un colloquio, anche telefonico, con una persona nota o conosciuta, avrebbe potuto costituire un grave pericolo.
Quindi, a conoscere quasi sempre il percorso che l'auto della personalità di Stato doveva seguire, accompagnata dall'auto che portava gli uomini che componevano la sua scorta, erano solamente due entità: a) gli uomini della scorta; b) l'ufficio con cui quegli uomini dovevano rapportarsi.
Se qualcuno avesse voluto fare o abbia fatto "la soffiata" sul tragitto che si sarebbe seguito quella mattina del 16 marzo 1978, c'erano i tempi tecnici per organizzare un agguato di quella natura?
Per chi conosce adeguatamente la Citta di Roma, poi, vi è da dire che, per andare dalle parti di Via del Trionfale al centro storico di Roma, ci sono varie possibilità di percorso cittadino e che, spesso, alle scorte, è lasciato un ampio margine di discrezionalità nelle decisioni di modifica del percorso da seguire, ove particolari condizioni od esigenze impreviste impongano una modifica.
Se anche qualcuno avesse fatto "la soffiata", potendo la scorta decidere in ogni momento di mutare il percorso da seguire, senza doverlo comunicare preventivamente a chi di competenza o farvisi autorizzare - e chi ha organizzato l'agguato non poteva non attendere tale eventualità - tenuto conto che le possibilità di andare al centro di Roma da Via Trionfale erano più di una, in quanti punti cruciali di agguato ci si doveva appostare e di quanti uomini si doveva disporre per essere quantomeno approssimativamente sicuri che l'agguato sarebbe andato comunque a segno
quale che fosse stato il percorso che avrebbero seguito le vittime, al di là di quello "comunicato" ? Infine, considerato che i componenti delle Brigate Rosse sono sempre stati quattro gatti, di certo
pericolosissimi criminali politici, ma pur sempre numericamente, solo e sempre quattro gatti, chi erano tutti gli altri uomini che sarebbero stati necessari per portare a termine l'azione criminosa, in ogni caso, quale che fosse stato il percorso effettivamente seguito dai convogli delle vittime?
Erano anch'essi tutti brigatisti - magari fortunatamente per loro mai scoperti dagli inquirenti - o, forse, erano altre persone, molto più pericolose e criminali di essi, mai indagate da nessuno?

6-- L'On. Moro aveva l'abitudine di portare con sè, ogni mattina, quando usciva di casa per recarsi dove i suoi vari impegni lo chiamavano, cinque borse del tipo cartella, all'interno delle quali si trovavano, rispettivamente: a) l'apparecchio per misurare la pressione; alcuni medicinali; le chiavi di casa e dell'ufficio; il denaro che la moglie gli preparava ogni mattina per le esigenze della giornata ed altri suoi effetti personali; b) alcuni documenti riservati; c), d) ed e) vari ritagli di giornale, le tesi di laurea, le loro bozze o le sue relazioni su di esse, dei suoi allievi all'università.
I documenti riservati di cui alla borsa indicata alla lett. b), evidentemente, erano così riservati che l'On. Moro aveva sempre cura di non lasciarli neppure a casa o nel proprio ufficio ...
Tutte e cinque le borse tipo cartella sono state prelevate, insieme alla persona dell'On. Moro, da parte di chi, dopo la strage, aveva il compito di portare il sequestrato in un "luogo sicuro".
Quelle borse non sono state mai ritrovate in nessuno dei vari covi delle B.R. poi scoperti, poichè, per esempio, nel covo di Milano, dopo 12 anni, sono state rinvenute alcune copie delle lettere autografe di Moro dalla prigionia, ma non si è mai ritrovata alcuna borsa o documento riservato.
Quei documenti riservati, con altrettanta evidenza e logica deduzione, involgevano questioni di tipo statuale e, se ed ove mai fossero stati prelevati dai Terroristi delle B.R. e finiti nelle loro mani, come si è voluto far credere, questi si sarebbero astenuti dal rivolgere al prigioniero Moro, nel corso dei vari e lunghi interrogatori, cui lo hano sottoposto nella cosiddetta "prigione del popolo", domande circa il funzionamento dello "stato capitalistico delle multinazionali", che, per la elementarità intrinseca della domanda, è un fatto che denota tutta la loro ignoranza specifica in materia, atteso che quei documenti, se posseduti, li avrebbero indotti a ben altre interlocuzioni.

E questa è la prima puntata di cui avevamo detto nel precedente e primo incontro sul caso.

Avvocato Salvatore Cirolla

domenica 27 gennaio 2008

Il "Caso" Moro.






La vicenda che ha riguardato l'On. Aldo Moro, nonostante i vari processi celebrati, ancora non è sufficientemente chiara, ma nasconde molte cose che quei processi non hanno saputo, voluto o potuto far emergere dal mistero che le avvolge e nel quale erano in tanti ad avere interesse a che rimanessero sconosciute per sempre.
A distanza di trent'anni da quella tragedia, non siamo in grado di conoscere tutta la verità, nella sua completezza ed effettività, al di là di ciò che i processi ci hanno dato di appurare.
Cercheremo di tratteggiare qui gli elementi più significativi di una vicenda ancora non definita.

Un celebre e grande investigatore (S.H.), che non è più tra noi, purtroppo, ci ha lasciato il suo testamento, spirituale e professionale, in una massima breve, ma smisurata, quanto a modalità
applicative ed implicative in tema di ricerca della verità attraverso le indagini intelligenti, che, per ogni altro aspetto, rappresenta la sintesi della sua personale ed impareggiabile esperienza, sussunta nelle poche parole che seguono e che suonano come un monito ideale:
" Non esistono i delitti perfetti, ma solamente gli investigatori distratti ".

In questo anno, nel quale ricorre il 30° anniversario da quella tragedia nazionale, cercheremo di ripercorrere le tappe salienti di tutto ciò che si è fatto e di quanto altro si poteva o si doveva fare ed invece non si è fatto, nonchè le ragioni, se ve ne sono, per cui c'è stata tanta inermità.
Cercheremo di capire se anche in questo caso ci sono stati degli "investigatori distratti" oppure se ci sono stati, piuttosto, degli investigatori omittenti, colposamente o dolosamente, sui loro doveri. Lo faremo, nei limiti in cui ciò ci è consentito dall'angustia dello spazio di un sito web quale può essere quello di un Blog, nella maniera più compiuta ed articolata che ci sarà possibile, anche se ci rendiamo conto che tutta la vicenda non potrà essere sussunta nello spazio di un solo post.
Per cui abbiamo pensato di farne una trattazione suddivisa e progressiva, seguendo il medesimo ordine evolutivo che hanno avuto i singoli eventi che hanno caratterizzato la vicenda, come se fosse una narrazione a puntate, ma che non sarà una semplice e vana ripetizione di cose o fatti già detti e ridetti dai giornali, dalla televisione, dalle pubblicazioni e dai vari libri dedicati al tema. La rivisitazione del Caso Moro, che cercheremo di fare qui, sarà nel senso di ripercorrerne tutte le fasi, ma in chiave perlustrativa e critica delle attività investigative svolte o mai effettuate ed in direzione del tentativo di vedere se e quali siano state le "ragioni" di eventuali lacune d'inchiesta.
A tal fine, chiunque avesse qualche materiale, documento o notizia non ufficiali, ma rilevanti per il nostro scopo, ci farà cosa sicuramente a noi gradita, ma, più di ciò, utile al Paese e alla verità, se ci metterà in condizione di averne una copia o di esserne in qualche modo partecipati.
Questa è la parte prelusiva della nostra iniziativa in direzione dell'auspicato trionfo della verità e, non da meno, della Giustizia, verso cui ci siamo mossi nella ferma convinzione che l'affare Moro,
nel suo complesso, non è soltanto la risultante dell'opera criminale del gruppo terroristico delle Brigate Rosse, ma il frutto di una regia politico-criminale collocantesi in ben altri ambiti.
A presto, speriamo, per la prima puntata...




... nel frattempo invitiamo il cuore e la mente di chi ci legge a riflettere su alcune delle parole del discorso fatto dall'On. Moro alla Camera, appena pochi giorni prima della mattina del 16.3.1978, e che, come tutte le cose buone, da cui non sappiamo mai trarre quella sana utilità che ci necessita, sono rimaste esse davvero lettera morta, tanto per i suoi contemporanei, quanto per coloro che sono venuti dopo di lui, quanto e, non da meno, per la gran parte dei sedicenti continuatori attuali delle sue idee politiche:

"" Senza un nuovo senso del dovere, questo Paese non si salverà; poichè occorre che alla stagione dei diritti consegua la stagione dei doveri.""

Avvocato Salvatore Cirolla.

sabato 5 gennaio 2008

Il Diritto di Difesa.

Presa di posizione dell'Avv. Cirolla in merito alla delicatissima materia del diritto di difesa...